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I RAVER NON SOGNANO PIÚ

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Month: July 2020

Il Boschetto Tek – TAZ lungo il Tevere

Posted on 2020/07/28 - 2020/08/25 by bananatek
boschettotek

Eran circa le otto di sera quando ad un tratto arriva un messaggio da Maria; mi gira un contatto del suo amico. Pirata mi dice che avevano appena montato lungo il Tevere vicino ad un boschetto: arrivano le coordinate.

In quel momento mi trovavo con Robin ed altri amici a grigliare; sinceramente non avevamo troppa voglia, ma ad un tratto Sam mi ha convinto che 200 chilometri tutto sommato erano nulla per una festa post lockdown. Robin, ancora soddisfatto della Resistance Sonore (esattamente il weekend prima del lockdown in Francia), non ci ha seguito.

Armati del sempre fidato OSMand, ci siamo diretti verso le coordinate indicate nel messaggio. Verso il tratto finale (lungo al Tevere) ci siamo ritrovati a saltare su delle grandi buche con la vecchia auto arrugginita di Sam, sembrava di stare nella foresta… Ci mancava la jeep.

Delle luci in lontananza ci segnalano l’apertura di un’immensa valle. È ora di parcheggiare, o più propriamente abbandonare la macchina. È ora di dirigersi verso la festa. Marsupi stretti, si cammina.

Una coraggiosa prima volta

Sam quando vede una cassa deve mettercisi sotto. Io questa volta mi sentivo molto socievole ma poco energico. Ho passato la maggior parte del tempo coi piedi fermi; mi trovavo in una zona nuova e non conoscevo quasi nessuno: l’occasione ideale per fare nuove amicizie e sentire un po’ di esperienze.

Stavo dando un’occhiata all’impianto quando una persona ad un certo punto tentenna e cade; riesco ad afferarla in tempo. Giuditta si presenta con un torrente di parole e la mascella da alpaca. Mi dice che è una delle organizzatrici della TAZ e mi confessa che è la loro prima coraggiosa volta in cui montano. Devono ancora decidere il nome della crew.

Mi spiega che hanno occupato un terreno di proprietà privata ma abbandonato da lungo tempo e che sia il loro impianto che la crew è in erba, letteralmente dato il posto. Sinceramente della musica non mi lamento, ma sicuramente mancava qualcosa: i subwoofer. Si sono alternati diversi musicisti, tra cui Pirata che ha spaccato di brutto con i suoi vinili, tribe ed acid davvero bella!

La nuova crew senza dubbio ha fatto un bel lavoro nel diffondere le info al giusto numero di persone che creavano un bell’ambiente calmo e socievole… Data la forte repressione attuale, montare è diventato molto rischioso per i collettivi; nel frattempo molti locali si stanno facendo un nome, sfruttando la tekno, aprendo le porte a cani e porci creando degrado. La logica di questa TAZ era simmetricamente opposta a quella dei club, rispecchiando al meglio lo spirito del movimento.

Quando si dice: pochi ma buoni

Fra i sessanta o settanta partecipanti alla TAZ, una manciata di ragazzi mi ha estremamente colpito: 13 anni di feste, autogesione, occupazioni alle spalle e tanto impegno nel tenere il posto pulito dando il buon esempio a tutti coloro che si trovavano alla loro prima festa.

Invece, sono rimasto un po’ deluso dai tanti che si lamentavano dell’assenza di sostanze. Chi pensava di trovare alla festa le code per il pusher del bagno della discoteca è rimasto avvilito. Tutto sommato sono contento che per i più sia stato evidente che le droga sia un aspetto secondario della festa e che alla repressione di questo periodo si sia opposto qualcosa di così genuino.

Mi auguro che i progetti di espansione del muro della crew continuino. Hanno varie idee per un impianto costruito in casa, il quale per esperienza personale è la strada giusta da percorrere. L’atmosfera gaudente che si è creata alla TAZ sul Tevere si è prolungata dal pomeriggio fino al mattino seguente lasciando tutte queste nuove facce soddisfatte della festa consumatasi nel boschetto.

boschettotek

Posted in Esperienze

Il Ponte – TAZ Parigi

Posted on 2020/07/22 - 2021/02/10 by lasagnatek

A Parigi durante la settimana per me c’erano solo le biblioteche. Il datore mi permetteva di lavorare da casa ma il buco che potevo
permettermi col mio stipendio non era certo il posto più adatto per svolgere le mie mansioni d’ufficio quindi mi rifugiavo sempre in una delle biblioteche
pubbliche. La biblioteca “Naguib Mahfouz” vicino al parco di Belleville, la mediateca “L’Echo”, il centro Pompidou. Molti universitari mi consigliavano di andare alla BNF ma ne rimasi fortemente deluso. Ampi spazi ma poco funzionali, un giardino bellissimo ma inaccessibile e soprattutto un pass a pagamento per alcune aule.

Son stato alla BNF una sola volta eppure è la zona di Parigi che conosco meglio: la fermata Francois Mitterrand.

Era il mio primo sabato a Parigi quando ho scoperto dell’esistenza del Ponte. Quella situazione è nata poco prima che io arrivassi e si è spenta (o evoluta) poco prima che me ne andassi.

Avevo passato tutta la settimana a compilare carte, avevo trovato una stanza in un appartamento, bici, abbonamenti, tesserino, insomma, tutto pronto per il primo lunedì di lavoro. Il fatto che non avessi pensieri per tutto il weekend significava che potevo dedicarmi alla ricerca di qualche posto da scoprire e quindi ho iniziato ad interrogare tutti i miei contatti.

Degli amici mi girano un messaggio:

Pour ce soir nous debutons a la tombe de la nuit a 23 h55
le bal poussiere paris 13
Tram avenue de France :20 boulevard du general jean Simon paris
13 puis devant la galerie d art le lavo matik prendre l escalier e droite dans le renfoncement puis descendre les
escaliers pleins de graff puis sous le pont du tram a droite metro BFM :18 rue Jean Antoine du baif paris 13 continuez
a marche tout droit puis nous sommes sous le pont du tram ou il y a pleins graff vers les travaux suis les
barrieres c est un endroit underground
Si tu trouve vraiment pas 075XXXXXXX
A ce soir

Non era ancora troppo tardi, per i miei ritmi avrei cenato più o meno a quell’ora. Senza neanche rifletterci troppo ho memorizzato i nomi delle vie che avrei dovuto percorrere e mi sono infilato nella prima metro. Non erano neanche le 8 di sera che mi trovavo alla BNF, mi sono fermato a fumare una sigaretta e scambiare due parole con tre ragazzi musulmani e ho percorso tutta la strada come mi sembrava di aver capito dal messaggio.


Il Ballo della Sabbia

Arrivai ad un cantiere edile. Elmetti antiinfortunistici, una ruspa, un martello pneumatico ma anche il primo generatore.
C’era una fossa enorme e solo qualche pezzo di legno per attraversarlo. Era così presto che l’unica cosa che si sentiva era il rumore del
tram che passava esattamente sopra di me.

Ero sotto il ponte e le prime compagnie di ragazzi si spostavano dalla periferia al centro per concedersi al sabato notte della città.
Io, sotto di loro, avevo abbracciato la mia notte parigina.

La TAZ quella volta durò poco. Non erano neanche le sei che ero già in metro. Però la TAZ al Ponte si ripeté per moltissimi sabati e ogni volta che qualcuno veniva a trovarmi o che rimanevo solo mi dirigevo lì.

La crew: TTR, Trance Ta Race.

Si sono alternate moltissime persone a suonare lì. Il muro di casse faceva schifo, non si contavano le volte che il suono si staccava di colpo per colpa di uno dei generatori. Niente a che vedere con i muri di casse di tutti gli altri collettivi francesi che ho conosciuto.
Ciò che mancava al sound system di TTR veniva compensato col coraggio del collettivo a spingersi così vicino al cuore della capitale.

Mi sento molto fortunato ad aver vissuto queste TAZ ed aver conosciuto TTR. Ad esser sincero nel mese prima dello sgombero forzato lo spirito aveva iniziato un po’ a perdersi. Avevano introdotto un contributo di 5 euro obbligatorio e c’erano stati dei litigi fra i membri del collettivo. Questo è inevitabile quando la TAZ diventa un evento ripetuto e prevedibile.

Tette e Polvere

Ho conosciuto un numero inimmaginabile di persone a tutte quelle TAZ.
La metà della gente che incontravo ai free in giro per la Francia era
passata dal Ponte. Non si è mai vista una scazzottata, una brutta parola, un gesto molesto. La pulizia del luogo non era granché, ma riconoscono che non fosse facile pulire un cantiere; comunque la gente era sempre rispettosa e le uniche cose con cui tutti stavano a giocare erano gli abiti dei manichini che ad un certo punto hanno iniziato a popolare il cantiere occupato.

È al Ponte che ho incontrato la donna dai capelli grigi che mi spinse a fare tutto questo:

Sai qual’è il mio più grande rimpianto quando torno a vivere queste
situazioni? Non essere riuscita ad insegnare nulla a quelli della tua generazione.

Fra tutte le notti al Ponte voglio raccontare quella che racchiude meglio lo spirito di una TAZ.

Quel giorno ero stato ad una delle manifestazioni per Steve Maya Caniço e dopocena, canna e caffè, mi ero diretto ancora una volta lì. All’inizio della serata avevo notato una coppia con un buonissimo vibe e quindi volevo scambiarci due parole. Lei ballava scalza, lui non si fermava un attimo. Erano molto divertiti e lo davano a vedere. Rodrigo e Roberta. Mi metto a ballare con loro e vedo che subito ci prendiamo in amicizia. Parliamo, balliamo, loro raccolgono una bottiglia abbandonata a terra e la condividiamo. Balliamo tanta psy alternata ad un po’ di techno. Ad un certo punto trovo una bustina di erba a terra, ad occhio un grammo e mezzo scarso e gliela offro.

Rodrigo provava a rollare ma era troppo ubriaco. Dopo essermi fatto un giro mi son procurato delle lunghe e abbiamo fumato fino al mattino, sempre continuando a ballare. Nel frattempo mi stavo proprio scatenando, ero preso benissimo, per l’ambiente, per la compagnia dei tipi, per la musica anche se la psy dopo un po’ mi stanca.

Ad un certo punto Roberta iniziò a limonare con un’altra. Iniziarono ad intrecciarsi e lentamente Roberta le tolse la maglia. L’altra ragazza non aveva reggiseno e senza esitare Roberta si tuffò sulle sue tette. Ad un certo punto si spostarono verso il lato del muro di casse e si buttarono per terra. Si sporcarono di fango e sabbia, le mani si perdevano confuse sui loro corpi.

Continuai a ballare con Rodrigo finché si regge in piedi. Per farlo riprendere da tutto l’alcool ce ne rimasimo tranquilli a parlare seduti su una ruota.

La TAZ è questo: condividere quello che hai e quello con trovi con chi presente, buttarsi a terra senza la paura di esser giudicati o importunati, ballare con le tette libere senza essere ripresa da un cellulare.


M.

Posted in Esperienze

Panaro 2015 – Memorie

Posted on 2020/07/21 - 2020/08/01 by lasagnatek

Sabato sera io ero a suonare a Bologna e il giorno dopo Agnese mi dice di aver sentito musica tutta la notte, ma non ne era certa, forse l’aveva sognato (ok, questo non depone a suo favore).
Ieri sera ero a casa da solo, e ad un certo punto la musica riparte. Verso le 22.30 decido che voglio scoprire di cosa si tratta, se qualcuno metti mai stava organizzando una festa qua nel paesino, in una casa isolata, boh, ero curioso. Ho girato una mezz’ora in auto cercando di seguire la cassa dritta ma non c’è stato niente da fare, pareva sempre spostarsi più in là. Rientro a casa e chiedo ad un’amica di Zocca se ne sa qualcosa. Mi risponde verso le 2.00 dicendo che c’è un rave sulla fondovalle del Panaro, e mi gira un articolo. Questo:
http://archive.is/AzF5B (
Pavullo, rave party abusivo in migliaia occupano una cava sulla fondovalle Panaro – Gazzetta di Modena)


L’articolo è indecente. I fatti sono che hanno occupato una vecchia cava in riva al fiume Panaro e per circa 72 ore hanno messo in piedi il rave.


Ho seguito un po’ la polemica tra residenti, proprietario del terreno, cittadini inviperiti per le code sulla strada fondovalle, per la musica tutta la notte, lamentarsi per la droga, ma soprattutto perché “è assurdo che si possano fare cose del genere senza permessi e incuranti dei divieti. È un brutto messaggio, perché basta che si sappia che basta radunare migliaia di persone per fare quello che vuoi senza che nessuno intervenga … cioè, se imparano che lo strumento è questo si rischia molto di peggio”
E sarebbe davvero bello, aggiungo io.
Al di là del fatto che più o meno tutti facciamo cose illegali o fuori dai codici (che sia non rispettare i limiti di velocità o lavorare in nero o non chiedere una ricevuta, etc…), il fatto che OGNI TANTO ci sia qualcosa di più eclatante che scardini la prassi della legalità, della burocrazia, della proprietà (parliamo di una cava abbandonata eh), ecco, quello può davvero servire. Proprio per ribadire il concetto che tante persone possono generare impasse, possono ribaltare la fruizione dei luoghi e la prassi che li vincola.
Oggi sono andato a farci un giro, a prendermi una birretta e fare due passi, finirà tra poco, alle 18.00 mi hanno detto, ma oramai era agli sgoccioli con gli ultimi inossidabili. C’era un camper con un info point sull’uso di droghe, e campeggiava un cartello: “Questo è un luogo di socialità. Non danneggiare chi ti sta a fianco”
Se non capisci un rave, non significa che sia sbagliato.
Se non ti piace un rave (come nel mio caso – per la musica), non significa che sia sbagliato. È illegale, certo. Ed è giusto che sia così. Ma resta un luogo di socialità. Se allibisce che ci siano droghe è evidente che non si siano frequentate discoteche o altri luoghi di socialità negli ultimi 30 anni.


“Eh ma lasceranno il posto uno schifo”, non più di quanto già non lo facciano i turisti della domenica e le loro grigliata sul fiume.
Viviamo un periodo in cui nelle città vengono decimate le possibilità di aggregarsi, di sentire musica, di sentirla ad un volume decente, vengono date deroghe col contagocce, permessi che restringono più che permettere, e tutto perché pare che il primo imperativo categorico di una città sia NON DISTURBARE.
Starsene soli. Non incontrarsi. Degenerare.


Ieri notte fino alle 4.30 mi ha accompagnato il suono dei soundsystem che faceva eco nella valle, e arrivava fino a casa mia. Cassa dritta per ore. Mi dava noia. Ma ero felice che ci fossero, e che fossero venuti qua.

fonte: Gabriele Capra Malavasi

Posted in Memorie

IL RAVE: CONTROCULTURA TEKNO-NOMADE DEL VENTUNESIMO SECOLO

Posted on 2020/07/11 - 2020/08/01 by lasagnatek

La nascita del fenomeno dei Rave party, o se non altro della sua matrice più profonda, si può far risalire agli anni settanta, quando, dal raduno di Woodstock in poi, lo spirito del festival, dell’aggregazione di migliaia di ragazzi di differenti nazionalità, età e classe sociale, del
ritrovo collettivo teso alla condivisione di musica e danza, è entrato a far parte della vita di alcune fasce della società.

Quel tipo di evento si definì rave solo in seguito, quando il fenomeno si era ormai diffuso in tutto il Mondo. La realtà rave esplode infatti in Inghilterra attorno agli anni ottanta, quando un po’ in tutta Europa si stanno formando controculture tese a denunciare problemi politici, difficoltà economiche, disagi sociali.

Una politica di tagli dell’assistenza sociale, unita alla privatizzazione dei servizi, il tutto collocato sulla mutata economia, ha generato l’accendersi di violente battaglie sociali e un fortissimo degrado della qualità della vita. Da qui nascono forme di culture alternative e pratiche libertarie che si sviluppano massicciamente. E’ questo il caso di squatters, travellers, ravers, che sorgono nell’Inghilterra post-thatcheriana e si espandono fertili un po’ ovunque negli ultimi vent’anni. Gli squatters reagiscono all’abbassamento del tenore di vita delle classi disagiate occupano palazzi dismessi in certi quartieri delle maggiori città, basti pensare che nel 1993 a Londra vennero registrate 3000 occupazioni.

I travellers, invece, rispondono al caro-affitti ed all’insopportabilità delle costruzioni metropolitane adottando una vita nomade, spesso a bordo di roulotte o camion- case. E’ un dato di fatto che attualmente nel Regno Unito ci siano circa 500’000 nomadi persone che scelgono nuovi modi di abitare, nuove ed inesplorate categorie di vivere il territorio: nasce da tali presupposti anche il mondo del rave, una rete di feste illegale costituita da migliaia di individui: temporanee occupazioni di aree private fondate sull’incontro di persone, musica, droghe, vite e viaggi.

Squatters, travellers e ravers non solo appartengono al nocciolo più duro delle “working classes ” parzialmente impoveritesi,ma negli ultimi anni si sono andati diffondendo anche tra le middle classes.La caratteristica più sorprendente dei rave e che essi sono riusciti a crearsi un mondo ed un linguaggio tanto particolari da generare un vero e proprio fenomeno di cultura. Il rave e un dance party, un’aggregazione spesso illegale, tenutasi fuori dei luoghi convenzionali destinati agli eventi musicali e dove i generi di dance music, tra cui techno e jungle, sono estranee ai normali cicuiti commerciali. Sono trattenimenti, frutto di organizzazioni autonomi di gruppi di persone in spazi (temporaneamente occupati ) non ufficialmente destinati a tale scopo. Quando la musica si inaudisce e la componente techno assume una dimensione sempre più centrale, i luoghi diventano inadeguati, troppo piccoli, restrittivi. Si cercano spazi più grandi al di fuori della metropoli per creare nuove feste tecnologiche: vecchie fabbriche, capannoni o aree rurali.

In Inghilterra tutto ciò avviene alla fine degli anni ottanta, quando alcuni dischi provenienti da Detroit entrarono a far parte del circuito di Dj londinesi. Si cominciarono a sperimentare evoluzioni House e Tekno della vecchia musica Soul e Funky; si cominciò ad alzare il livello dei bassi, ad aumentare la comunicazione, a facilitare la partecipazione: in poco tempo i rave divennero una realtà affermata e diffusa. In Italia la schena rave si sviluppa al contrario e molti passaggi sono reinterpretati con ritardo: l’ondata del techno party esplode nel 1990 come prolungamento ed espansione dei locali più di avanguardia; solo più tardi le feste autogestite assumono nuovi valori per il loro essere rito neo-primitivo, frantumano la rigida relazione mappa/territorio insediandosi negli spazi. Nasce così la scena illegale. I Sound Sistem non sono organizzazioni formali, bensì libere affiliazioni di persone, mentre i party che mettono assieme sono altamente organizzati. I ravers vengono a conoscenza di un numero di telefono, alcuni giorni prima dell’evento, mediante flyers (volantini), passaparola o radio pirata. Alcune ore prima dell’inizio della festa il numero di telefono fornisce l’indirizzo di meeting point. Solo in seguito, al momento del ritrovo, viene diffusa l’esatta indicazione del posto, dove gli impianti audio sono pronti, le luci sono montate e i sound sistem sono pronti a suonare facendo tremare le vecchie lamiere ed i muri di cemento per tutta la notte. Così prima che la polizia riesca a scoprire con precisione ciò che accade, sul luogo ci sono cosi tante persone che le forze dell’ordine non possono più intervenire: il rito è cominciato.

Seppur originato da genesi diverse il fenomeno rave è attualmente una delle più affascinanti espressioni di tutte quelle voci underground, che cercano nuovi modi per farsi sentire, strumenti non convenzionali, che anzi tendono ad abbattere i tradizionali linguaggi. Un rave è il segno di una cultura urbana, che nasce e vive nella metropoli, che in essa si perde e si ritrova, costruendo insoliti parametri di scambio col
territorio. Nel rave si mescolano categorie di vita, valori simbolici, si leggono percorsi, mutamenti. Il rave descrive un’area sociale, implica in sé il sentimento di nomadismo, di pellegrinaggio creativo, ma anche il senso di spaesamento, di smarrimento nella rete. Rievoca radici
tribali che interpreta in chiave Hi-tech.

I ravers abitano e viaggiano in città lontane dall’ordine medioevale, città che oggi si sfaldano in metropoli, città rete dalle infiniti ed indefinibili polivalenze di connessioni, città odissea che si tuffano nel ventunesimo secolo frammenta, incapaci di comprendere i propri spazi.Le nuove comunità techno riabbracciano vincoli e sedimenti antichi per rinascere dopo la disgregazione degli schemi
unicentralisti. Si evolvono nella contemporaneità danzando con essa.

Rave e Legge

Proprio per essere fenomeni controculturali, staccati dal potere ufficiale e ad esso avversi, i rave sono sempre stati osteggiati dalle
autorità nella loro diffusione, sopratutto nel corso degli anni 90,quando il movimento, il circuito dei raves e technoparties , aveva già raggiunto dimensioni considerevoli e fondamenta solide su cui svilupparsi ulteriormente. I rave cominciarono a radunare migliaia di
persone (10’000 all’Avon free festival, 15’000 al Lago Bala, 20’000 a Kevy Hill, e ben 50’000 persone al Castelmorton free festival),
diventando un problema poliziesco, d’ordine pubblico: squatters, travellers e ravers vennero considerati dai conservatori i “nuovi devianti”, e in Inghilterra si cominciò a parlare di Cjb, Criminal justice bill, una proposta di legge avanzata dal governo tory cha potenziasse il ” public order act” (approvato nel 1986, dopo le lotte dei minatori, che dava alla polizia poteri particolari circa la repressione spicciola delle manifestazioni di piazza) attraverso una serie di provvedimenti ad ampio raggio che colpissero i comportamenti minatori e devianti più diversi, specifici della fase post-thatcheriana.

Il Cjb diventò Criminal justice act nel 1994, e si orientò tutto verso l’obiettivo di indebolire la forza delle culture alternative: colpiva la
criminalità di strada “leggera”, si riferiva a travellers (pena detentiva fino a 3 mesi per l’opposizione ad azioni di sgombero aree occupate abusivamente; è reato penale rifiutarsi di sciogliere convogli di automezzi superiori a 6 , premesso anche la possibilità del sequestro del mezzo da parte della polizia , mezzo che è la casa dei travellers), a squatters, concedendo un ampliamento delle facoltà di sgombero ed a
ravers, vietando riunioni di un numero maggiore di dieci persone (10!) e dando alle forze dell’ordine la possibilità di sequestrare automezzi ed attrezzature tecniche nel caso in cui fossero impiegati per l’allestimento di un party.

I governi conservatori inglesi,insomma, fecero il possibile per tagliare le gambe a questi movimenti nascenti, colpendone subdolamente le fascie più deboli e meno politicizzate, che spesso rappresentavano anche le aree pacifiste del gruppo. Nel 1995 Margareth Thatcher affermò:” Sarà un piacere rendere la vita difficile a queste carovane”. Cominciò allora il periodo di battaglia, fatto di azioni barbare da parte della polizia e di risposte ferme da parte delle neonate contro-culture: ne sono la testimonianza episodi come quello del festival di Stonehenge (1985). La battaglia di Beanfield, definita dalla polizia “operazione solstizio”, in cui vi furono 530 arresti, pestaggi di donne incinte e distruzione di camion e pullman.

Episodi che si ripeterono anche nel 1986, con l’operazione “day b react” contro il peace convoy, fino ad arrivare al 1993, agli arresti nell’area
di servizio sull’autostrada 115, di numerosi travellers che stavano raggiungendo un festival; proprio nel 1993 nasceva, in seno alla
polizia, una speciale unità mirata a schedare travellers, ravers e le loro rotte stradali verso i festival. Ma la controparte ha subito promosso azioni di diverso tipo contro il Cjb. A partire dal maggio 1994 siè avuta un’intensificazione unita ad un maggior coordinamento dei festival , dei raduni, delle marce e di tutte queste iniziative. E del 14 Agosto 1994 un raduno contro il progetto di legge che ha visto la partecipazione di 100’000 persone. Sempre nel 94, il 9 Ottobre, quando il Cjb stava per entrare in parlamento e trasformarsi in act, ci fu una grandissima manifestazione che provocò agguerriti scontri con le forze dell’ordine. La firma della regina arrivò comunque il 3 Novembre e l’Act diventò operativo sull’intero territorio britannico nell’Aprile ’95; da quel momento la contestazione si sviluppò in azioni creative ed informative come fanzine e panphlet, o feste troppo ben organizzate e di massa per consentire l’intervento della polizia: come il “Reclaim the streets” e gli ” street party”.

In italia la situazione è decisamente diversa: di fronte ai rave illegali la magistratura può solo ricorrere ad un insieme di leggi, in
quanto non esistono precedenti sentenze specifiche passate in giudicato, visto che il fenomeno è piuttosto recente e comunque meno radicato. Il reato a cui ci si riferisce è quello di occupazione o invasione, con pene pecuniarie o detentive convertibili in pecuniarie.

In ogni caso si potrebbe osservare come atti di questo tipo siano tastamenti per i governi che li emanano, bisognosi di placare unrumore
in codice che crea caos. Un free party è un incubo: senza profitto, senza spettatori passivi con cervelli atrofizzati da comandare, senza
rispetto per la proprietà e il capitale. I governi tramite queste repressioni mostrano di essere spaventati dal potere dei rave, e tentano
di limitarlo prima che si sviluppi in direzioni sconosciute. Ecco perchè intere aree di anticonformismo vengono criminalizzate.

Rave e Tecnologia

“La morte di Isidora Duncan nel 1927 è forse l’inizio di tutto: nomade sacerdotessa della danza moderna, critica verso la disciplina sul corpo
tipico della danza accademica, morì strangolata dalla propria,incasrtata tra le ruote della sua automobile. Strozzata dalla tecnologia di Henry Ford”. Laleggenda narra che il primo rave americano si sia tenuto a Detroit, nella fabbrica Ford che aveva prodotto quella macchina. E’ indubitabile lo stretto legame tra rave e tecnologia: da un lato quella industriale, legata agli spazi riutilizzati,reinventati, dall’altro
quella elettronica dei campionatori e quella chimica delle sostanze stupefacenti. La tecnologia ha un ruolo fondamentale in quanto assume la connotazione di mezzo creativo per dar forma al proprio sentire. La macchina non viene più intesa produttrice di merci, ma come madre di musiche e culture. Per suonare la techno vengono usati avanzati ritrovati dell’elettronica e della tecnologia: vengono campionati suoni
urbani, voci notturne della città, antifurti e sirene diventano espressioni musicali.

Mixer piatti e pc diventano i protagonisti del riciclaggio creativo.

Ma la componente tecnologica del movimento risiede anche nel tipo di comunicazione adottata, che si basa principalmente su flyers, radio
pirata, mailing list e siti internet.

Rave e Territorio

Per molti aspetti già trattati il rave può’ essere inteso come un fenomeno ben determinato sia cronologicamente, che territorialmente: è
infatti tipico della contemporaneità e nasce da dinamiche legate alla vita cittadina. I ravers costituiscono nuove comunità, che crescono
allattate dal nichilismo novecentesco, sono consapevoli della disgregazione semantica del territorio, che acquista stratificazioni
sempre maggiori, tanto più se si parla di metropoli, così densa di forme e costrutti di artificialità mass-mediatica, cosi soggetti alla
smaterializzazione di categorie definite. I techno-rangers, abitano il limbo metropolitano dell’alienazione dai luoghi, dalle radici, per cui
progettano nuovi significati, a cui attribuiscono temporaneamente nuovi valori simbolici.

La città perde oggi la configurazione di punti di riferimento, parametro di orientamento, nucleo chiuso in cui tutto si ordina, per diventare uno dei tanti nodi comunicazionali della rete globale. Laddove il degrado e l’abbandono metropolitani dimenticano i loro punti sospesi, i loro angoli bui di non connessione, di non utilizzo, di non produzione, proprio in quei meandri del futuro che diventa presente, in quegli
interluoghi urbani, nelle zone interstiziali non investite dall’iper-attività e dalla frenesia delle nuove società, lì la comunità underground dei ravers pianta le sue mobili radici, ripensa velocemente e momentaneamente la polis e la sua periferia, in un’esplosione di creatività e rimbombo di casse. Le fabbriche abbandonate, da contesti di alienazione, scambio di denaro e di lavoro, diventano cuori pensanti,
cervelli pensanti. I codici dell’architettura cambiano, le barriere di divisione dei ruoli impostate dalla città cambiano: la metropoli viene
trasformata dai ravers, che ne cambiano strutture ed equilibri, alterandone gli spazi per costruire ambienti indipendenti, in opposizione alle costrizioni e alle forme precostituite della massificazione, tipiche dell’era della globalizzazione, ovvero del tessuto in cui la popolazione techno si muove.

I ravers non si riconoscono nelle proprie città, si sentono realtà marginali non amalgamabili al ritmo di queste. Ciò che è in discussione è il concetto di territorialità, intendendo con esso il rapportarsi dell’uomo sociale agli spazi che occupa. Concetto che nella cultura techno perde delimitazioni, certezze, confini, restando concetto nobile, che si struttura autonomamente ed imprevedibilmente.  Vengono progettati nuovi significati per i luoghi: vagoni di treni bloccati e fatiscenti diventano anomali salotti per incontrarsi, capannoni, fabbriche in disuso si trasformano in dance hall in cui individualità, appartenenza e radici si fondono in un brulicare di vita.

In quest’ottica si riscoprono anche gli epici simboli del viaggio, del nomadismo come volontà di estensione spazio-temporale d’identità.

Si vuole reinstaurare la tradizione vitale dell’essere nomade. “Siamo come profughi in cerca di un rifugio. E così che mi considero, come un profugo”, afferma Floyd, raver e traveller dal ’91.

Il pellegrinaggio eredita il valore di trasformazione delle individualità che il viaggio attiva, cancellando i vincoli con i luoghi
e le loro istituzioni: viaggiare è mutare la consapevolezza nel vivere il territorio, ed il viaggio puo’ essere sia fisico che mentale, stimolato da riti tribali e primitivi fondati su danza e droga.

fonti:

http://www.otk.it/nextwav/ita/taz.htm

https://www.inventati.org/donnola/materiali/rave.html

Posted in Cultura

[ Dance before the police come ]

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