Sabato sera io ero a suonare a Bologna e il giorno dopo Agnese mi dice di aver sentito musica tutta la notte, ma non ne era certa, forse l’aveva sognato (ok, questo non depone a suo favore).
Ieri sera ero a casa da solo, e ad un certo punto la musica riparte. Verso le 22.30 decido che voglio scoprire di cosa si tratta, se qualcuno metti mai stava organizzando una festa qua nel paesino, in una casa isolata, boh, ero curioso. Ho girato una mezz’ora in auto cercando di seguire la cassa dritta ma non c’è stato niente da fare, pareva sempre spostarsi più in là. Rientro a casa e chiedo ad un’amica di Zocca se ne sa qualcosa. Mi risponde verso le 2.00 dicendo che c’è un rave sulla fondovalle del Panaro, e mi gira un articolo. Questo:
http://archive.is/AzF5B (Pavullo, rave party abusivo in migliaia occupano una cava sulla fondovalle Panaro – Gazzetta di Modena)
L’articolo è indecente. I fatti sono che hanno occupato una vecchia cava in riva al fiume Panaro e per circa 72 ore hanno messo in piedi il rave.
Ho seguito un po’ la polemica tra residenti, proprietario del terreno, cittadini inviperiti per le code sulla strada fondovalle, per la musica tutta la notte, lamentarsi per la droga, ma soprattutto perché “è assurdo che si possano fare cose del genere senza permessi e incuranti dei divieti. È un brutto messaggio, perché basta che si sappia che basta radunare migliaia di persone per fare quello che vuoi senza che nessuno intervenga … cioè, se imparano che lo strumento è questo si rischia molto di peggio”
E sarebbe davvero bello, aggiungo io.
Al di là del fatto che più o meno tutti facciamo cose illegali o fuori dai codici (che sia non rispettare i limiti di velocità o lavorare in nero o non chiedere una ricevuta, etc…), il fatto che OGNI TANTO ci sia qualcosa di più eclatante che scardini la prassi della legalità, della burocrazia, della proprietà (parliamo di una cava abbandonata eh), ecco, quello può davvero servire. Proprio per ribadire il concetto che tante persone possono generare impasse, possono ribaltare la fruizione dei luoghi e la prassi che li vincola.
Oggi sono andato a farci un giro, a prendermi una birretta e fare due passi, finirà tra poco, alle 18.00 mi hanno detto, ma oramai era agli sgoccioli con gli ultimi inossidabili. C’era un camper con un info point sull’uso di droghe, e campeggiava un cartello: “Questo è un luogo di socialità. Non danneggiare chi ti sta a fianco”
Se non capisci un rave, non significa che sia sbagliato.
Se non ti piace un rave (come nel mio caso – per la musica), non significa che sia sbagliato. È illegale, certo. Ed è giusto che sia così. Ma resta un luogo di socialità. Se allibisce che ci siano droghe è evidente che non si siano frequentate discoteche o altri luoghi di socialità negli ultimi 30 anni.
“Eh ma lasceranno il posto uno schifo”, non più di quanto già non lo facciano i turisti della domenica e le loro grigliata sul fiume.
Viviamo un periodo in cui nelle città vengono decimate le possibilità di aggregarsi, di sentire musica, di sentirla ad un volume decente, vengono date deroghe col contagocce, permessi che restringono più che permettere, e tutto perché pare che il primo imperativo categorico di una città sia NON DISTURBARE.
Starsene soli. Non incontrarsi. Degenerare.
Ieri notte fino alle 4.30 mi ha accompagnato il suono dei soundsystem che faceva eco nella valle, e arrivava fino a casa mia. Cassa dritta per ore. Mi dava noia. Ma ero felice che ci fossero, e che fossero venuti qua.
fonte: Gabriele Capra Malavasi